L’uscita da Bari: a piedi oppure in treno fino a Modugno?
La prima cosa di cui bisogna parlare riguardo a questa tappa iniziale della via Peuceta è l’uscita da Bari: è un tema in cui vi imbatterete con facilità sfogliando i social del Cammino Materano alla ricerca di informazioni. Una delle domande più ricorrenti dagli aspiranti camminatori è proprio questa: “Vale la pena partire da Bari a piedi o piuttosto è meglio saltare la periferia iniziando a camminare da Modugno?”. Persino sul sito ufficiale c’è una nota che indica come sia possibile saltare i primi 8 km di periferia grazie ai treni che arrivano a Modugno (con FAL Ferrovie Appulo Lucane oppure con Trenitalia).
Leggendo qua e là i commenti degli organizzatori e di altri camminatori mi pareva di aver capito che quegli 8 chilometri erano così “brutti”, e quindi evitabili, principalmente per due motivi: il primo è che si attraversa una zona industriale esteticamente sgradevole, paesaggisticamente molto lontana dall’habitat in cui vuole tuffarsi il camminatore che decide di abbandonare il logorio della vita moderna per “immergersi nella natura”; il secondo è un’ingente presenza di spazzatura sparsa lungo la strada.
Ciononostante, io ho scartato da subito l’ipotesi del treno per Modugno. Anzi, da un punto di vista filosofico mi è sembrata una buona idea stringere i denti per quelle due orette scarse, durante le quali avrei attraversato zone cementificate e probabilmente rumorose, schivato le zozzerie che mi sarei trovato tra i piedi, guardato dall’alto in basso i miei simili motorizzati e rombanti mentre risoluto e silenzioso avrei iniziato ad accendere i muscoli delle gambe passo dopo passo. Il tutto nella convinzione che il momento del definitivo abbandono della parte urbanizzata e l’ingresso nella campagna sarebbe stato ancor più catartico e gratificante. Mi sono detto: se il cammino è una metafora della vita, ci sta di sopportare le brutture – di cui comunque facciamo tutti innegabilmente parte quando non camminiamo – fino al glorioso istante in cui da quel girone sarei uscito a riveder le stelle.
Devo ammettere che sia sulla questione estetica, sia sui rifiuti, mi ero fatto un’idea peggiore di quel che poi ho realmente trovato. Certo, una periferia difficilmente riserva scorci che vale la pena fotografare, e così è stato; ma tutto sommato quella di Bari non è nemmeno poi così infernale. Riguardo alla spazzatura, temevo che avrei camminato nella versione pugliese della Terra dei Fuochi ma anche qui sono stato smentito; forse avendo viaggiato e avendo visto periferie davvero degradate (ad esempio nelle Filippine, nelle Americhe centromeridionali e nell’Africa del sud) l’asticella del mio giudizio si è attestata su livelli che hanno reso quasi trascurabile quel po’ di immondizia in cui mi sono imbattuto in questi primi 8 chilometri un uscita da Bari (e che ahimé è fisiologica un po’ dappertutto.)
Se dunque mi è stato possibile valutare queste “brutture” come un compromesso del tutto accettabile per godere appieno l’agognato ingresso nei sentieri tra gli ulivi, lo è stato meno sotto un altro aspetto, che avevo sottovalutato: quello della sicurezza.
Il problema di quegli 8 km infatti è un altro: ci sono tratti in cui si cammina rasenti al guard-rail accanto al traffico di mezzi di ogni tipo e dimensione, e ci sono rotonde da superare improvvisando attraversamenti pedonali che non esistono.
Un conto è scendere a compromessi con l’estetica e in generale con i sensi, un altro paio di maniche è scendere a compromessi con la sicurezza, e il mio personale parere è semplice: andrebbe evitato; anche se è per poco, anche solo per qualche chilometro o centinaio di metri che sia.
Ricordo che a un certo punto stavo camminando a bordo strada nel senso contrario a quello dei veicoli, in modo da non esser sorpreso alle spalle e vederli arrivare in anticipo; all’interno di una macchina erano in due, e il guidatore scorgendomi da lontano mi ha indicato al passeggero che aveva accanto, dicendogli qualcosa. Non potrò mai sapere le sue parole precise, ma dell’espressione e dalla postura dovevano suonare pressappoco così: “ma cosa ci fa quello scemo, lì a piedi?”. Ecco, in quel momento mi sono sentito effettivamente un po’ scemo; quel tipo di scemo al limite dell’incoscienza. Che se un TIR mi avesse stirato, qualcuno avrebbe potuto commentare “certo che se l’era andata un po’ a cercare eh”.
Intendiamoci: non mi sono sentito in difficoltà, né ho avuto paura. Ma insicuro, quello sì, e ribadisco che l’insicurezza andrebbe evitata tutte le volte che è possibile: sul lavoro come su un cammino che si fa per puro diletto.
Tirando le somme: se il meteo è buono, siete buoni camminatori, siete agili, e magari siete un po’ spavaldi, allora che questa mia descrizione non vi intimorisca: state attenti e godetevi il tragitto. Ma se la vostra camminata fosse un po’ incerta, se le condizioni meteo fossero non ottimali (pioggia, foschia, scarsa visibilità o buio), se camminaste con dei bambini o se foste con la bicicletta, in questi casi non c’è dubbio: diventerebbe pericoloso, e quindi lasciate perdere la filosofia e prendete il treno.
Veloce fino a Bitetto
La prima tappa della via Peuceta, periferia a parte, scorre veloce con pendenze quasi sempre impercettibili tra ulivi e vigneti, su tranquille strade interpoderali in buona parte asfaltate.
Ci sono due siti lungo il percorso che varrebbe la pena visitare, ma purtroppo quando passo sono entrambi chiusi. Il primo che incontro, con una breve deviazione, è il Santuario della Madonna della Grotta: non ci sono cartelli ma solo un cancello sprangato e sembra che apra di mattina solo alla domenica, mentre negli altri giorni esclusivamente nel tardo pomeriggio (in realtà altri pellegrini mi diranno che, quando sono passati un’oretta dopo di me, hanno trovato aperto). Il secondo è il Casale medievale di Balsignano, che apre sia al mattino che al pomeriggio ma solamente di venerdì, sabato e domenica.
Quando arrivo a Bitetto sono appena le 11 e festeggio con un calzone alle cipolle del fornaio che si incontra proprio prima di varcare la porta del paese. Faccio merenda sui gradini della Cattedrale mentre all’interno è in corso la messa, con molta gente per essere un mercoledì feriale. In piazza sono in corso i preparativi per qualcosa: scoprirò in seguito che il fermento è dovuto a Santa Rita.
Bitetto, Ester e Santa Rita
Il pernottamento a Bitetto è a casa di Ester, la prima dei referenti di tappa che incontrerò lungo il mio Cammino Materano; la stanza in cui offre ospitalità (in modalità “donativo”, cioè senza prezzo fisso ma con una donazione a discrezione dell’ospite) è carina e si affaccia su una piccola corte seminascosta tra i vicoletti a pochi passi dalla cattedrale.
Personaggio quasi leggendario, Ester viene ampiamente preceduta dalla propria fama grazie ai selfie che i pellegrini pubblicano sui social: si fotografano in sua compagnia come fosse un monumento vivente.
Estremamente generosa ed empatica, all’ora di pranzo sbuca all’improvviso nella piccola camerata portandomi in dono delle olive, una bruschetta ai pomodori e una burratina; dopo un po’ ritorna con un assaggio di salsiccia, uova e zucchine. Da applausi.
Invita me e l’altro ospite a fare un giro di Bitetto in serata; mentre passeggiamo fino al Santuario del Beato Giacomo ci racconta la storia di questo frate del 1400 e del morso con cui duecento anni dopo la morte gli venne staccato un dito.
Accanto al Santuario c’è il “Museo della Dedizione e del Lavoro”: nei locali dove un tempo c’era il convento sono stati ricostruiti numerosi ambienti della vita contadina del passato con arredi, utensili, macchinari e abiti d’epoca.
Poiché i frati sono rimasti in pochi e non riescono a gestire direttamente il museo, hanno lasciato le chiavi a lei e quindi se volete farci una visita, contattare Ester è l’unica possibilità che avete.
Quando ripassiamo dalla Cattedrale sta iniziando la processione in onore di Santa Rita; pur non essendo patrona, è una festività comuque molto sentita e lo si capisce dal numero davvero notevole di consorelle – nell’ordine delle centinaia, a perdita d’occhio – tutte con addosso la stessa uniforme nera.
Per la cena scelgo “Madre Terra”, ristorante/pizzeria che nel menu del pellegrino ha gli Spaghetti tipici “alla san Giuannidd” e il capocollo. Consigliato.